domenica 25 maggio 2008

Il Placito Capuano

Il Placito Capuano, risalente al 960 d.C. viene comunemente considerato l’atto di nascita dell’ italiano volgare. Fa parte di un gruppo di verbali processuali registrati tra il 960 e il 963 riguardanti delle controversie legate al possesso di alcune terre, tra l’abbazia di benedettina di Montecassino e il proprietario terriero Rodelgrimo d’Aquino. Ciò che rende particolare questo documento è l’intenzionalità con cui viene usato il volgare. La testimonianza a favore dei benedettini infatti non è registrata in latino volgarizzato o contenente errori rispetto alla norma, ma in una lingua nuova ed autonoma, che per la prima volta possiede la necessaria dignità per apparire in un documento.


Ecco come si presenta la parte scritta in volgare all’interno del testo in latino:



« Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte sancti Benedicti. »

(Capua, marzo 960)


« So che quelle terre, entro quei confini che qui si descrivono, trnt’anni le ha tenute in possesso l’amministrazione patrimoniale di San Benedetto »




domenica 18 maggio 2008

L’iscrizione di san Clemente

Sisinnium

Fili de le pute, traite!
Gosmari, Albertel, traite!
Falite dereto colo palo, Carvoncelle!
Sanctus Clemens
Duritia(m) cordis vestri(s)
saxa traere meruistis.

Sisinnio:
Figli di puttana, tirate!
Gosmario, Alberto, tirate!
Fa’ leva di dietro col palo, Carboncello!

San Clemente
Per la durezza del vostro cuore
meritaste di trainare sassi.


Questa iscrizione, visibile nella cappella sotterranea di san Clemente a Roma, risale all’XI secolo d.C. e rappresenta una delle più antiche testimonianze di italiano volgare. Semba quasi un fumetto per come è strutturata e per la scena comica che racconta: il santo miracolosamente si salva dalla cattura di tre servi che cercano di arrestarlo per volere del loro padrone, il pagano Sisinnio. I servi sono convinti di aver legato il santo, invece cercano di trasportare una pesante colonna, provocando così le ire del padrone che li prende a parolacce. È buffo notare l’inflessione romanesca già presente in un’attestazione così antica, ma effettivamente, in moltissimi documenti delle origini si riscontrano tratti caratteristici ancora oggi presenti nei dialetti. Naturalmente all’epoca della nostra iscrizione e per molto tempo ancora, la lingua letteraria era il latino classico in cui si esprime san Clemente(anche se con alcuni errori rispetto alla norma ). Invece Sisinnio si rivolge ai servi in volgare; questo dimostra che a livello letterario questa lingua era ancora percepita come “bassa” e adatta solo per riportare dialoghi di scarso livello culturale. Alla base dell’italiano odierno non c’è il latino classico, ma il latino volgare cioè quello effettivamente parlato dalla gente nella vita di tutti i giorni. Questo vale naturalmente non solo per l’italiano ma per tutte le lingue romanze. Infatti non esiste un unico latino volgare, ma tante varianti determinate dal tempo, dallo spazio e anche dal livello sociale e culturale dei parlanti. Ovviamente, non potendo basarsi su fonti letterarie propriamente dette, gli storici possono ricostruirlo solo marginalmente. I documenti utilizzati a tale proposito sono le iscrizioni private come i graffiti di Pompei, le testimonianze grammaticali come l’Appendix Probi, alcune formule di giuramento nei testi processuali come il Placito Capuano (960 d.C.) ,considerato l’atto di nascita dell’italiano. Inoltre confrontare le varie lingue romanze può risultare molto utile per provare a ricostruire almeno parzialmente una forma che non è possibile documentare in modo completo